TORINO – Dai sogni accarezzati e poi svaniti ai tormenti in questa fase assai solidi: Paolo Vanoli pur dando tutto e oltre per il Toro non sta trovando la quadra che possa consentire alla squadra di ripartire. È però il soggetto in questione un allenatore, e pure bravo, e non un mago. E invece gli servirebbe la bacchetta magica per rivolgere un incantesimo a Cairo inducendolo a suo tempo a non cedere Bellanova, per evitare l’infortunio di Zapata, tornando poi a indicare con suddetta bacchetta magica il patron per fargli buttare il cuore oltre l’ostacolo e prendere qualcosa più di Karamoh, un profilo più giovane e intrigante di Maripan, mandando magari in prestito Gineitis per far salire subito di livello la squadra a centrocampo. Troppo? Beh, già il Toro è un limite continuo, poter scegliere con un po’ di libertà anche solo attraverso l’immaginazione dà comunque un certo comfort. Posizione nella quale non si trova Vanoli, come dicevamo. Che non aveva esperienza in A, ma che conosce il calcio per averlo frequentato e averci vinto da giocatore prima e allenatore poi: un percorso che gli ha consentito di annusare l’aria fin da Pinzolo, comprendendo che dalla società avrebbe potuto ricevere il giusto. Arrivando recentemente a spiegare: «I limiti del club? Rispondo per ciò di cui mi posso occupare», diceva di fatto smarcandosi da un certo operato ai massimi livelli dirigenziali. Anche perché ciò cui gli tocca mettere mano in prima persona è in questo momento in profonda crisi. Il Toro di vertice che vinceva o al più pareggiava si è perso con la Lazio, prima delle sconfitte via via aumentate e salite a cinque (sei con la Coppa Italia), in sei giornate di campionato. E così la classifica da incredibile è divenuta bellissima, poi bella, discreta e intermedia. E in molti metterebbero la firma per cristallizzare l’attuale decimo posto, visto che tra infortuni, rinnovi che non arrivano (Vagnati) e scossoni societari (contestazione a Cairo imperante, primi fischi alla squadra) la situazione rischia più di peggiorare. E il peggioramento, per giocatori non abituati a lottare con le unghie e con i denti per obiettivi popolari, cioè la salvezza, può essere molto profondo e pericoloso.
I tormenti di Vanoli
Vanoli sa questo, cerca strade da battere ma sbatte anche contro limiti e sfortuna. Già privo di Zapata, in vista del derby il tecnico granata non sa se avrà Adams, e se ce l’avrà per quanti minuti a disposizione. Una problematica che si aggiunge ad altre, e che sommate le une alle altre, e condite da alcune indecisioni dello stesso allenatore, portano a un dato chiaro nella sua evidenza: il Toro in questa Serie A non ha mai giocato con la stessa formazione. Molto, in effetti, resta in evoluzione: ad esempio l’utilizzo di Maripan sposta Coco che, preso per fare il braccetto, con la perdurante assenza di Schuurs aveva finito per diventare il riferimento centrale della difesa. A centrocampo Linetty e Ricci vengono alternati nel ruolo di regista basso e mezzala, spesso alternandosi e sdoppiandosi in entrambe le posizioni. Poi c’è Vlasic che va collocato tra mediana e attacco in modo tale che possa iniziare a creare gioco, e un Sosa ancora da inquadrare dopo che all’iniziale ritardo di condizione con cui si è presentato a Torino ha fatto seguito qualche infortunio. Situazioni, comprese l’aumento di tiri subiti e la drastica diminuzione di conclusioni nella porta avversaria, che stanno inducendo Vanoli a studiare soluzioni che prevedono anche il cambio di modulo. Effettuato spesso a gara in corso, partendo da una difesa che a fisarmonica passa da 3 a 4. E poi ci sono i dubbi sull’attacco: meglio Vlasic mezzala con Njie (o Adams) e Sanabria, o è preferibile un Toro con Vlasic seconda punta in appoggio a un attaccante e un centrocampo con Ricci, Linetty e Ilic? Pure questo è un tormento, per Vanoli: tecnico entrato assieme alla sua squadra in una tempesta dalla quale è possibile uscire. Serve una remata generosa e collettiva, lo scoglio da superare è il derby. Quello vinto da Cairo, resta uno solo.
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