Ascolta la versione audio dell’articolo2′ di letturaLa candidatura unitaria, promessa tra sorrisi di circostanza e silenzi imbarazzati, è (salvo sorprese dell’ultim’ora) un miraggio. Così, il congresso regionale della Lega in Lombardia, fissato per il 15 dicembre, si prepara a diventare molto più di una semplice competizione interna: potrebbe essere il primo vero processo politico alla leadership di Matteo Salvini, il Capitano che da oltre due anni vede il suo vascello imbarcare acqua.In tre sfidano il segretarioI contendenti? Massimiliano Romeo, leader dei senatori e capofila dell’ala “nordista”; Luca Toccalini, giovane rampante e fedelissimo del segretario, quasi il suo alter ego generazionale; e forse, per capire se davvero sarà della partita bisognerà attendere il 1° dicembre, Christian Invernizzi, deputato di ieri e voce degli irriducibili che osano dissentire. È lui che, insieme ad altri venti, aveva sfidato Salvini opponendosi alla candidatura del controverso generale Vannacci alle europee.Loading…Passaggio cruciale per il CapitanoLa Lombardia, culla e laboratorio storico del Carroccio, è commissariata dal 2021, anno della clamorosa uscita di scena di Paolo Grimoldi, l’ultimo dei bossiani, poi espulso in un crescendo di strappi e ferite. Ma il congresso del 15 dicembre non sarà solo il teatro di una resa dei conti lombarda: è qui che si misurerà lo stato dell’intera architettura leghista. Sarà, per Salvini, una cartina di tornasole del suo potere e della sua capacità di tenuta, soprattutto in vista del congresso federale del 2025, dove si gioca il suo destino politico.La contesa sul VenetoI numeri, per ora, non sorridono al segretario. La Lega vive una ormai costante emorragia di consensi: gli ultimi dati elettorali raccontano di un partito che, dopo la débâcle alle Europee, ha perso terreno anche nelle regionali, subendo oltre al calo dei voti l’uscita di scena in Sardegna di Christian Solinas e poi di recente, in Umbria, di Donatella Tesei. Il futuro però si gioca nelle roccaforti storiche, Lombardia e Veneto, e anche qui i venti non sono favorevoli. In Veneto, dove il governatore Luca Zaia rappresenta l’ultimo baluardo del leghismo che fu, Giorgia Meloni avanza le sue pretese: vuole un candidato di Fratelli d’Italia, forte di un 37% che ha surclassato il misero 13% leghista, scalzato anche dal Partito democratico.Zaia, per ora, prova a resistere, ma il tetto dei due mandati impone un limite che Salvini non è riuscito a superare. «Farò di tutto per mantenere alla Lega la guida del centrodestra in Veneto», ha detto. Parole che nella Serenissima suonano come un ritornello stonato.